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1 - 3 novembre 2024

Tappa 01

SECTOR 1

Back to the Future BTTF 2

Scoprila al minuto 02:27

Tappa 02

CHARIM

Corridoio Rosso 6

Scoprila al minuto 06:00

Tappa 03

LC QUEISSER

Present Future PF 5

Scoprila al minuto 09:30

Tappa 04

MICHELA RIZZO

Corridoio Verde 13

Scoprila al minuto 12:50

Tappa 05

SCHIAVO ZOPPELLI

Corridoio Marrone 11

Scoprila al minuto 17:07

Step 01, Sector 1, Yvonne Hasan, Encounter, 1978

Step 02, Charim, Lazar Lyutakov, Lamp series, 2022

Step 03, LC QUEISSER, Keto Logua

Step 04, Michela Rizzo, Giuseppe Abate, from the series The Cockpit, 2021

Trascrizione

Intro

Buongiorno! Vi diamo il benvenuto ad Artissima 2022. Questo è il progetto AudioGuide e state ascoltando la traccia numero 5 intitolata Transformaterial, un viaggio incentrato sul potenziale trasformativo degli oggetti, dallo scarto al riuso, in relazione al sistema dei consumi e alla sostenibilità ambientale. Partiamo subito con una domanda: cosa hanno in comune le opere di Marcel Duchamp, Michelangelo Pistoletto, Burri o Rotella con quelle degli artisti che incontreremo oggi? Sono (in parte) rifiuti, ovviamente in senso positivo. Oggetti quotidiani, materiali riciclati, scarti di processi industriali attorno ai quali si è sviluppata una linea estetica ed etica dal XX secolo a oggi. Se rivolgiamo la nostra attenzione alla vita di tutti i giorni ed esaminiamo alcuni oggetti quotidiani, ci rendiamo conto che tutto ciò che utilizziamo arriva prima o poi alla fine del suo ciclo di vita, diventando obsolescenza, quindi rifiuto. Tuttavia, la persistenza della materia, cioè la sua esistenza ed essenza, sarà mantenuta nel tempo (anche se cambierà stato e forma). Le poetiche e le estetiche del Novecento, dagli anni Cinquanta con il Neo-Dada, passando per i Noveaux réalistes fino alle manifestazioni contemporanee, si fanno portavoce di questo processo di trasformazione, che vede l'artista come spettatore ma allo stesso tempo come sostenitore della transitorietà della materia. Da allora non si tratta più di esporre oggetti comuni come opere d'arte, ma di aprire una riflessione sul significato di rifiuto, di scarto in una società di massa votata alla produzione e all'accumulo senza fine. Italo Calvino ne Le città invisibili scrive: “L'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove". L'autore offre a noi lettori contemporanei una riflessione sul tema dell'accumulo di materiali, associato al crescente esaurimento delle risorse. Prima di conoscere i nostri artisti, permettetemi di presentarmi. Sono Camilla Zennaro e vi guiderò in questo viaggio. Siamo pronti a partire. Mettiamo in pausa il lettore e andiamo alla Galleria Settore 1, situata nel corridoio bianco, stand 2, per iniziare la nostra visita. Premete play una volta arrivati. Vi aspetto!

Tappa 01

Siamo ora a Back to the future, una sezione che espone opere realizzate dal 1960 a oggi da artisti pionieri che hanno avuto un notevole impatto sulle generazioni contemporanee. La Galleria Settore 1 di Bucarest ci presenta una delle figure più importanti dell'avanguardia femminile rumena, Yvonne Hasan. Nata nel 1925 da una famiglia ebrea, Hasan ha vissuto una giovinezza travagliata sotto il regime militare di Antonescu, prima di affermarsi come artista quando il Partito Comunista Rumeno impose un ritorno forzato al realismo socialista, ideologia per la quale era piuttosto antagonista. In questo senso, lo studio alla scuola di Max Hermann Maxy è stato certamente fondamentale. La sua pratica comprende diversi mezzi espressivi: film, scrittura, pittura e in particolare collage e arazzi; il tessuto è un mezzo ricorrente per l'artista. Non è un caso che la Romania dell'epoca avesse una cultura tessile ricca e variegata, che Yvonne Hassan ha saputo rivisitare in chiave totalmente contemporanea. Nel video si vedono infatti alcune immagini personali di momenti quotidiani al mare che ha filmato con la sua famiglia tra il 1982 e l'84; ha subito il fascino di una zona della Romania molto famosa per il suo artigianato e il suo tocco folk, Marmuresh. L'artista sviluppa una visione "sinottica” che si manifesta nelle sue opere attraverso un collage di materiali di scarto: guanti, strisce di tessuto, carte colorate, frammenti di carta da parati... elementi apparentemente poveri, ma che traboccano - da un lato - di ricordi e memorie personali, dall'altro di storie universali. È infatti negli oggetti trovati che si rivela la psicopatologia della vita quotidiana, con le sue ossessioni e fobie. Le sue tele sono composte da strati di significato che non possono essere ricondotti a una visione semplice o unitaria, ma rappresentano quello che Jacques Rancière chiama lo shock dell'eterogeneo: una prospettiva caleidoscopica della società in cui vive e della quotidianità che la circonda. In Hasan, le tecniche miste di bricolage, pittura e objet trouvé si rivelano preziose per catturare il rumore, la velocità, il tempo e la durata dell'esperienza urbana degli anni moderni; tuttavia, per lei non c'è la volontà di sfidare i secoli, la natura delle sue opere è fragile e poco votata al permanente. Ed è una natura che trasforma, evolve la materia e diventa portatrice di una "ferita interiore" (come l'ha definita Apollinaire) - dettata dalla tecnica del collage - perché attraverso questo processo la realtà esterna, che fino ad allora era stata tenuta ai margini della tela, veniva ora incorporata nell'immagine. Ammirando le composizioni pittoriche dell'artista notiamo subito come il suo sguardo - ancora prematuro e inconsapevole - sia rivolto alla sostenibilità. Come gli artisti dell'arte povera, in Yvonne Hasan c'è una visione ecologica ante litteram data dal libero utilizzo di materiali naturali e industriali e di elementi di scarto in una forma di simbiosi totale. Abbiamo completato la nostra prima tappa. Mettete in pausa il lettore e dirigetevi alla Galleria Karim sul corridoio rosso, stand 6. Una volta lì, premete play. Vi aspetto!

Tappa 02

Siamo nella Galleria viennese Charim che, per la sezione Monolgoue/Dialague, presenta un confronto serrato tra Lazar Lyutakov e Daniel Pitìn. I due artisti indagano sulle possibili conseguenze di un mondo dominato dal consumismo, dallo spreco di risorse e dall'edonismo sconsiderato, incarnato dalla nostra società capitalista. Ci concentriamo su Lazar Lyutakov, artista bulgaro nato nel 1977. Nelle sue installazioni, introduce materiali sintetici di scarto - che di solito vediamo impiegati nelle costruzioni industriali. Li priva della loro funzione standard di manufatti, fino ad assumere un nuovo potenziale, diventando oggetti di scena e motivi decorativi. Qual è la differenza tra gli oggetti di Yvonne Hasan e la serie di lampade di Lazar Lyutakov? Duchamp parte dal presupposto che per trasformare un oggetto ordinario in un'opera d'arte sia sufficiente un cambio di contesto. L'oggetto con la sua materialità, attraverso la manipolazione, diventa custode di precisi messaggi determinati dall'artista. Rimane quindi un oggetto di uso comune, ma viene connotato da un valore artistico. Il concetto di ready-made è finito. I dadaisti hanno segnato il passaggio dell'arte dal concetto di "rappresentazione" a quello di "presentazione" e lo hanno consegnato in eredità agli artisti che incontreremo ora. Lyutakov è interessato al ready-made come merce, come prodotto del modernismo tecnologico e parte della cultura di massa. Ritorna il concetto di persistenza della materia e delle sue possibilità evolutive. Nella sua pratica, l'obsolescenza tecnologica e culturale che trasforma la materia in rifiuto viene ribaltata: i rifiuti industriali cambiano direzione sotto la mano dell'artista e tutto rinasce ancora una volta come prodotto. Per Artissima, l'artista presenta due nuove opere che esplorano l'interrelazione tra consumismo e produzione industriale, e il loro effetto sul nostro pianeta. Le lampade di Lyutakov rappresentano proprio questo: lampade, oggetti di design pronti per essere venduti, ma il processo logico che sta dietro alla loro luce colorata è molto più complesso. In questa serie, l'artista assembla materiali eterogenei come vecchie ciotole di plastica e materiali di riuso. La seconda opera si intitola "Way of the sand" e integra il vetro acrilico, un sostituto industriale, con il vetro fatto a mano. Avvicinandosi, si può notare come il vetro sia presentato sotto forma di bicchieri dalla forma grezza e pieni di piccole imperfezioni, che rivelano non solo il lavoro manuale dietro gli oggetti, ma anche l'utilizzo di materiale riciclato. In questo senso Lyutakov ci porta a riflettere sulle tradizioni secolari dell'artigianato, la cui visione e sensibilità era molto legata all'eco-sostenibilità del prodotto. Li confronta - poi - con la produzione industriale su larga scala di quegli oggetti standardizzati che si insinuano negli ambienti della nostra vita contemporanea. Abbiamo completato la nostra seconda tappa. Mettete in pausa il lettore e recatevi alla Galleria LC Queisser presso Present Future, stand 5. Una volta lì, premete play. Vi aspetto!

Tappa 03

Siamo ora nell'universo naturale di Keto Logua, artista georgiana con sede a Berlino, rappresentata dalla Galleria LC QUEISSER di Tbilisi nella sezione Present Future, una piattaforma di lancio per i talenti emergenti. La sua pratica artistica si sviluppa intorno a una riflessione sociale ed ecologica sui fenomeni naturali e artificiali e sulla loro interazione nell'epoca contemporanea. Le opere di Logua, realizzate attraverso diversi mezzi espressivi (scultura, video, pittura), incarnano l'energia di figure floreali e di vari elementi naturali che, tolti dal loro contesto quotidiano e collocati all'interno dello spazio museale, acquistano una magistrale forza comunicativa, un'intensità sospesa, delicata e allo stesso tempo atemporale, avulsa da qualsiasi elemento circostante. Il suo è un approccio interdisciplinare, alla ricerca di quei momenti in cui la tecnologia umana e la tecnologia della natura si fondono l'una nell'altra, minando i presunti confini tra l'oggettivo e il soggettivo, il naturale e l'artificiale. Utilizzando le scoperte scientifiche, Logua realizza oggetti applicando procedure tecnologiche e artistiche a forme del passato: ad esempio, stampando in 3D un fiore primordiale. Questa "traduzione materiale", come l'ha definita l'artista stessa, è emblematica della sua ricerca, in cui spesso coinvolge ricercatori, botanici e architetti, che la aiutano a trovare il linguaggio per visualizzare le sue opere. In occasione della presentazione ad Artissima 2022, Logua si addentra nei sistemi naturali che non sono visibili in superficie. Le sculture murali in ferro battuto si ispirano alle alghe fossili preistoriche, i primi microrganismi emersi sulla terra, e allo stesso tempo fanno riferimento alle strutture residenziali di recinzione in ferro, metafora del potere della natura di resistere, persistere e perseverare. Per crearli, utilizza impronte fossili di piante marine ricavate da campioni di roccia. La recinzione metallica che stabilisce violentemente i confini diventa allo stesso tempo un dispositivo ornamentale usato come schermo, per quelli che lei chiama “disegni esauriti di fiori e ornamenti”. Alla vostra destra potete ammirare delle opere stampate a tecnica mista su alluminio. L'immagine, anche se apparentemente viene letta come un'opera astratta, è un'interpretazione manipolata digitalmente di un'immagine microscopica della sezione longitudinale della Calendula, generata da dati scientifici a bassa risoluzione. Come in molte altre sue opere, anche qui la Calendula - come fiore dalle proprietà curative - ci invita a una rigenerazione della mente e del corpo. Keto Logua, lontano da tutte quelle narrazioni sulla fine del mondo, ci colloca in un universo primordiale e ci invita a una nuova connessione partecipativa con la natura. Abbiamo completato la nostra terza tappa. Mettete in pausa il vostro lettore e recatevi alla Galleria Michela Rizzo sul corridoio verde, stand 13. Una volta lì, premete play. Vi aspetto!

Tappa 04

Vi presento ora la Galleria veneziana Michela Rizzo, che presenta per Artissima 2022 le opere di Giuseppe Abate, artista italiano che fa del pollo la pratica della sua ricerca. Il pollo, oltre a essere uno degli alimenti più consumati al mondo, è un animale che cresce molto velocemente in qualsiasi tipo di contesto. Preda perfetta per i crudeli meccanismi della produzione intensiva, diventa niente meno che una metafora delle falle del sistema di produzione capitalistico, con i suoi abusi e conflitti. La selezione di opere presentate si intitola Here Comes the Rooster, tutte realizzate da Abate dal 2019 ad oggi, con tecniche diverse: pittura, cartapesta, mosaico e scultura. L'unicità delle opere di Abate risiede nel tipo di materiale che utilizza: derivati di scarto della lavorazione del pollame, ovvero ossa, sangue essiccato ridotto a pigmento mediante tuorlo d'uovo, gusci e pelle. Poi ci sono le Carte realizzate con la pellicola interna dei gusci d'uovo, che l'artista ha raccolto meticolosamente nel corso di un anno e incollato insieme sfruttando il potenziale del loro collagene naturale. Con una pirografia Abate incise la poesia di John Cooper Clark, Chicken Town, che paragona Londra e i suoi abitanti a un caotico pollaio. In questo modo, associa il testo alle immagini delle innumerevoli insegne dei Chicken Shop che ha fotografato durante la sua permanenza a Londra. La città è infatti una chiave fondamentale nella ricerca di Abate e ritorna in The Cockpit, una serie di cornici che ritraggono i combattimenti di galli della Londra pre-vittoriana associati ai combattimenti che oggi avvengono comunemente in quelli che l'artista stesso definisce i Cockpit contemporanei della città, i Chicken Shop. Un'altra opera che si può ammirare al centro della parete dipinta è realizzata con pigmenti derivati dal sangue. Qui Abate agisce d'istinto e ci racconta come, nel realizzare il dipinto, si sia ispirato a un curioso episodio dei Promessi Sposi che vede protagonisti Renzo e i capponi: una metafora della vita che ha rivisitato in chiave contemporanea. Con i contenitori utilizzati per l'imballaggio delle uova, l'artista ha creato la serie di sculture Cartoni, titolo che allude sia al materiale di cui sono fatti sia ai personaggi rappresentati, ispirati a vari film d'animazione. Ad esempio, la volpe Foxy Loxy, con la pancia piena di galline, è il personaggio di un cortometraggio del 1943 ispirato alla popolare fiaba Chicken Little e commissionato dal governo statunitense a Walt Disney per fare propaganda anti-nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. L'ultima opera dell'artista è Walking on the wild west: un paio di stivali di pelle di pollo tinti con tè nero. Lo stivale da cowboy è in qualche modo un simbolo di conquista e diventa una riflessione sulla tradizione colonialista del West associata al capitalismo contemporaneo. Giuseppe Abate indaga il tema dei media, della pubblicità e del loro potere sulle masse in quanto capaci di suscitare desideri che possono essere soddisfatti solo attraverso l'acquisto compulsivo di beni. Anche nella popolarità del pollo la pubblicità ha giocato un ruolo fondamentale, trasformando il prodotto dagli anni '60 a oggi in un emblema del consumismo contemporaneo. Walking on the eggshells, ad esempio, è il titolo della serie di mosaici realizzati dall'artista con gusci d'uovo la cui pigmentazione è naturale. Il titolo e il riferimento visivo alludono alla discrepanza tra l'undercutting, cioè la bassa qualità che il consumatore contemporaneo interpreta come un bene, e la metafora del camminare su una superficie rischiosa. Con Giuseppe Abate abbiamo completato la nostra quarta tappa. Mettete in pausa il lettore e recatevi alla Galleria Schiavo Zoppelli sul corridoio marrone, stand 11. Una volta lì, premete play. Vi aspetto!

Tappa 05

Il nostro viaggio nella Main Section di Artissima prosegue con la Galleria milanese Schiavo Zoppelli. Abbiamo appena visto come lo scenario polisemico che Abate costruisce voglia riflettere sulla natura antropocentrica della relazione uomo-animale. Intorno a questo tema centrale si sviluppa un'ulteriore pratica artistica, quella di Sara Ravelli, giovane artista italiana classe 1993, che presenta per questa edizione di Artissima un'indagine sulle relazioni tra esseri umani, non umani e artefatti e su come queste relazioni oscillino tra dinamiche di affetto da un lato e controllo ossessivo dall'altro. Ravelli mette in discussione la carica sentimentale degli oggetti e l'idea di funzionalità compromessa nella società capitalista. Le sue installazioni, infatti, cavalcano lo spirito più puro del ready-made, in quanto materiali semplici e privi di particolare valore estetico vengono utilizzati in modo creativo, acquisendo una nuova identità e un nuovo ruolo. È il caso di Special Treats, in cui l'artista utilizza materiali industriali e riciclati per la creazione di alcuni doni (in questo caso una testa di zucca) che vengono dati in pasto agli animali dello zoo. In molti parchi zoologici i guardiani hanno l'abitudine di fare regali agli animali durante le feste e di documentare gli eventi attraverso le immagini. In particolare TREAT #5, BOO! è il quinto della serie. La scultura si riferisce all'immagine di uno scoiattolo immortalato da un guardiano dello zoo mentre gioca con una zucca durante una festa di Halloween. Lo scoiattolo, con il premio in testa, crea una situazione giocosa e al tempo stesso patetica. L'opera di Sara Ravelli mette in scena nello spazio le immagini di un rapporto ambivalente tra decorazione e dominio: la grata, infatti, indica la condizione costrittiva in cui talvolta vivono gli animali; il fiocco verde, invece, allude alle varie forme di addomesticamento e all'idea del travestimento come strumento di controllo. Un tema ricorrente che ritorna anche in un'altra sua serie intitolata Tamed Love, in cui la Ravelli riflette sul concetto di antropizzazione degli animali parlando della vestizione del cavallo come atto di affetto ma allo stesso tempo di dominio. Quando ci si avvicina all'opera, può capitare di percepire uno strano profumo: castoro, corteccia, cuoio e gufo. Questi sono i quattro elementi che compongono Unbecoming You Favoured Spot, un olio essenziale che simula l'odore dei quattro elementi naturali, creando una sensazione ambivalente tra il gradevole e il disgusto. Questa combinazione intende evocare l'idea di uno spazio chiuso, saturo di presenze animali, come potrebbe essere la gabbia di uno zoo. Lavorando sulla tensione di un oggetto che può contemporaneamente affascinare o disgustare, questo scenario mira a reindirizzare l'attenzione sul rapporto interpersonale con gli animali nel capitalismo contemporaneo. Qui, Sara Ravelli, ribaltando i significati e gli usi ordinari dei materiali, trasforma oggetti comuni in veri e propri simboli delle dinamiche che si instaurano nella società contemporanea. Ready-made, oggetti di scarto, forme di riuso, sostenibilità ambientale e consumismo contemporaneo sono i temi che ci hanno guidato in questo percorso. Il punto cruciale è la materia e il suo infinito potenziale di rigenerazione. Da questa esperienza trasformativa, gli artisti incontrati oggi ne diventano i diretti promotori e ci invitano a un approccio proattivo per anticipare le esigenze sociali, culturali e ambientali. Abbiamo completato la quinta e ultima tappa. Spero che questo viaggio vi sia piaciuto. Se volete un'altra prospettiva sulla fiera, tornate al punto informativo o alla pagina di destinazione delle Audio-guide e selezionate un altro podcast! A presto e buon divertimento con Artissima!

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