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1 - 3 novembre 2024
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Issue n. 7 | Alfonso Artiaco intervistato da Andrea Viliani

17 Settembre 2018 Artissima Stories

Andrea Viliani: Caro Alfonso, nel 1986 inizi la tua storia inaugurando la galleria a Pozzuoli con la mostra collettiva Possibilità di collezione. Qual era allora, e quale sarebbe oggi, la tua collezione ideale? Un po’ forse conosco la risposta, perché alcune opere della tua collezione privata sono in deposito al museo Madre.

Alfonso Artiaco : Ognuno di noi immagina una collezione ideale, per me è stato importante conservare momenti del mio percorso lavorativo unendoli anche a opere che invece hanno avuto un percorso differente. Un esempio è stata la mostra del Madre per la quale avevo prestato molti lavori della mia collezione privata. Nella selezione finale della curatrice convivevano opere come Hanging Complex Form, una delle tre grandi sculture della mia prima mostra di Sol LeWitt organizzata a Pozzuoli nel 1989, insieme a molti altri lavori che avevo comprato negli anni da diversi colleghi. Collezionare per me è un atto frutto di circostanze, di momenti e scelte che si consumano in tempi a volte brevissimi, a volte al contrario, molto lunghi. Non c’è un modo di collezionare, c’è un istinto al collezionismo.

AV: Nel 1995 sposti temporaneamente la galleria in una nuova sede a Pozzuoli: un anno importante in cui si avviano i progetti artistici di Piazza del Plebiscito e della Metropolitana dell’Arte a Napoli, dove nel 2003 trasferisci la galleria in quella che era stata la sede di Lucio Amelio. Come si è evoluto il tuo legame con il territorio in cui operi e che relazioni hai intrattenuto con quella stagione di rinascimento culturale a Napoli, fra la metà degli anni ‘90 e i primi ‘00? Che cosa ha rappresentato per te, inoltre, una figura come quella di Amelio, che ha contribuito a definire questa storia e il sistema dell’arte a Napoli e dintorni?

AA: Ho sempre avuto un forte legame con il territorio e ho cercato di produrre mostre che entrassero in relazione con Napoli che è da sempre un luogo di grande tradizione del contemporaneo. Ed è questa tradizione che ci ha portato ad avere quella che tu definisci come stagione del rinascimento. Quelli sono stati anni significativi in questo senso, anni in cui le istituzioni avevano colto l’importanza di porre al centro del rilancio della città la cultura contemporanea e quel gesto ha dato solo frutti eccellenti, vedi quanto ha significato sul piano internazionale la metropolitana. Per quanto riguarda Lucio, per me lui ha dato un’indicazione di come si poteva rendere unico un luogo e un lavoro, attingendo a piene mani nella storia e nella cultura straordinaria di Napoli e ponendola in rapporto dialettica con culture ed espressioni lontane dalle nostre, contaminandole e realizzando mostre memorabili. Dopo la sua morte, artisti come Paolini e Kounellis, hanno ritenuto che il mio sguardo fosse il più coerente con il loro percorso artistico.

AV: Minimalismo, Concettuale, Arte Povera si incontrano nel tuo programma con espressioni che sembrano testare l’attualità trasformativa di queste matrici e di cui sono autori artisti delle generazioni successive. Come imposti queste relazioni nel programma della galleria, che nel frattempo ha festeggiato nel 2016 i suoi primi trent’anni?

AA: Tutte le scelte di campo sono frutto di uno sguardo che ha un suo orientamento preciso. Per questo il passaggio da una generazione all’altra è un’evoluzione naturale.

AV: Nel 2012 hai trasferito nuovamente la tua sede da Palazzo Partanna a Chiaia a Spaccanapoli presso Palazzo De Sangro di Vietri, in cui gli artisti sono intervenuti spesso sull’ambiente, agendo con modalità site-specific. C’è una differenza per te fra le mostre in galleria, dove questa modalità è praticabile con maggiore libertà e l’esperienza dell’opera può essere più meditata e personale, e gli allestimenti negli stand delle fiere?

AA: La scelta di Palazzo De Sangro di Vietri è stata determinata dall’ampiezza e dalla monumentalità degli spazi che a Palazzo Partanna non avevo. Riguardo agli stand, fatte rarissime eccezioni, sono sempre il frutto del lavoro prodotto in galleria. Ai miei artisti viene sempre data una libertà assoluta nella concezione delle mostre e dei lavori da produrre, ho piena fiducia in loro e nel loro lavoro. La differenza quindi più significativa con l’organizzazione di uno stand è solo la convivenza di più artisti. L’intento in fiera è anche quello di dover raggiungere un pubblico molto più ampio, cercando di far emergere il senso delle scelte fatte dalla galleria.

AV: Artissima è stata, in particolare negli ultimi anni, un progetto concept-based, con un preciso carattere critico e un’articolazione curatoriale. Il mercato c’è ma diviene elemento di un discorso e di una prassi più ampi intorno all’arte. Che rapporto hai con questa fiera e con la sua impostazione?

AA: Pur non avendo partecipato alle prime due edizioni, sono diventato anche grazie al rapporto che ho avuto con Roberto Casiraghi e Paola Rampini un grande supporter di Artissima, soprattutto perché all’epoca c’era bisogno di dare una risposta più strutturata rispetto a quanto stava facendo Bologna. Per molti anni ho inoltre fatto parte del comitato di selezione. A tal proposito ho un ricordo curioso della prima riunione che si tenne nella bolla del Lingotto: mentre discutevamo ci fu una forte scossa di terremoto e tutti i miei colleghi un po’ disorientati pensavano che fosse stato il vento, io in modo risoluto data l’esperienza dissi che era stato un terremoto. E quando scendemmo a pranzo la prima cosa che ci chiesero i camerieri era proprio se avevamo sentito la scossa di terremoto! Tornando alla fiera, non sono mai d’accordo quando si dice che le fiere sono il luogo dove si concretizza l’economia delle gallerie, le fiere sono semmai il luogo dove si concretizza il lavoro delle gallerie.

AV: Caro Alfonso, abbiamo raccontato un po’ la tua storia. Vorrei salutarti chiedendoti come immagini il futuro della tua galleria e del lavoro del gallerista con i suoi artisti? Orizzonti globali, “finanziarizzazione” e digitale influiranno, o stanno già influendo, su questo futuro?

AA: Caro Andrea, non abbiamo minimamente raccontato la mia storia, ti ho risposto descrivendoti quali sono alcune delle dinamiche d’azione della mia galleria. Penso che per quanto questo mondo si stia sempre più espandendo, le relazioni umane continueranno ad avere uno spazio e un’importanza fondamentale e, se e quando non sarà più così, probabilmente non mi interesserà più far parte di questo mondo.

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